Gianluca Zonta, regista con alle spalle diversi anni d’esperienza nella produzione di cortometraggi, ci racconta la sua passione per l’arte cinematografica e il suo percorso nel settore. Tra le sue opere troviamo Pizza Boy del 2019 e Diritto di voto del 2022, entrambi distribuiti da Sayonara Film. Il primo, vincitore di numerosissimi premi, narra la storia di un fattorino georgiano circondato da disumanità e indifferenza sociale, che deve affrontare il suo lavoro mentre a sua moglie si sono rotte le acque. Il secondo, che ha collezionato nel 2022 ben 32 selezioni festivaliere e 15 premi, è ambientato in un futuro prossimo dove viene messa in discussione la possibilità degli androidi di accedere al voto pubblico. Leonardo Gennari ha intervistato il regista, che racconta della sua formazione cinematografica, di questi cortometraggi e della loro creazione. 

 

Raccontami brevemente come ti sei avvicinato al cinema, il tuo percorso formativo nel settore e delle tue esperienze nel campo.

Ho sempre avuto una passione per il cinema fin da piccolo. La mia prima regia è stata a quattordici anni, quando ero alle medie, avendo girato un cortometraggio per un laboratorio scolastico assieme a tutta la mia classe. Il titolo era Scotchator e parlava di un ragazzo emarginato che salvava le sue compagne da un prof cattivo utilizzando lo scotch per legarlo. I primi film da spettatore invece sono quelli di Spielberg, soprattutto Indiana Jones e anche Guerre Stellari di Lucas, essendo io molto legato al cinema americano. A livello formativo ho fatto un percorso particolare: sono partito facendo Informatica a Bologna, ma una volta finito mi sono reso conto che non era quella la strada che volevo intraprendere. Ho deciso quindi di iscrivermi al DAMS di Bologna, poi nel frattempo era uscito il corso di produzione di un anno “OffCinema – La Bottega dei mestieri” con la Cineteca di Bologna, e ho pensato che fosse un buon modo per iniziare a capire i meccanismi del cinema. C’erano docenti professionisti, tra cui Luca Bitterlin e Carlo Cresto-Dina. Con loro è stato un anno molto formativo: ci hanno messo in contatto con tanti professionisti e da lì ho iniziato a lavorare sui set. Nel frattempo, ho anche iniziato a fare progetti miei, alcuni cortometraggi con amici. In particolare, uno è stato per un laboratorio, fatto al mio paese in Veneto, intitolato La Valigia dei Sogni.

 

Parlando specificamente del cortometraggio, qual è il tuo approccio a esso? Ritieni che abbia una poetica a sé stante rispetto al lungometraggio, escludendo le tempistiche narrative e i budget a disposizione?

Chiaramente spesso il corto è l’inizio per cimentarsi in un percorso artistico e professionale. A livello poetico, invece, ci sono alcune storie secondo me che sono fatte apposta per un corto, un progetto può funzionare proprio perché in breve tempo è in grado di raccontare al meglio una storia, mentre ci sono film che a volte sono molto allungati, ed è un peccato perché potrebbero funzionare attraverso un format più breve. Ora sto cercando di sviluppare un lungometraggio tratto da un mio corto: in 15 minuti pensavo di aver raccontato tutto quello che c’era da raccontare, e quindi inizialmente ero restio a questa idea. Poi dopo sono riuscito a trovare il modo per dare un senso ad una versione più lunga della narrazione, quindi non sviluppando la singola storia ma ampliandola. 

 

Nei tuoi lavori pare essere molto forte la tematica dell’integrazione. Da cosa nasce questa necessità artistica?

Nasce da una visione della realtà. Osservo quello che succede nel mondo e da lì ho spunti per dare un senso a ciò che racconto. A me piace raccontare delle storie che abbiano un senso compiuto, che possano emozionare e divertire ma anche far riflettere su problematiche attuali. Per Diritto di Voto, per esempio, la mia ispirazione è arrivata guardando il telegiornale, arrivando alla riflessione che si parlasse tanto per parlare, solamente per perpetuare il loro lavoro televisivo e dire ciò che conviene. 

 

Come nasce il progetto di Diritto di Voto? Raccontaci della collaborazione con i partecipanti. 

Diritto di voto nasce prima di Pizza Boy, ed è stato il primo progetto in cui ho iniziato a collaborare con Alessandro Salentino, ragazzo con cui scrivo abitualmente e che ho rincontrato dopo diversi anni a Bologna. Stavo sviluppando questa storia e gli ho chiesto se volesse collaborare. Da lì siamo andati avanti, continuando a scrivere altri progetti insieme. Per la realizzazione ho partecipato a vari bandi e concorsi, ma il progetto non è mai andato in porto. Dopo Pizza Boy e il lockdown, nel 2021, mi sono detto che non potevo non fare uscire niente. Ho parlato allora con un imprenditore russo, amico di Giga, il protagonista di Pizza Boy, presentatomi l’anno prima e venuto con noi ad alcuni festival. Mi ha poi detto che voleva aiutarmi a produrre un progetto: una mattina gli ho mandato la sceneggiatura di Diritto di Voto e lui ha subito accettato. Era metà gennaio, e a fine marzo abbiamo iniziato a girare a Bologna. Siamo riusciti ad usufruire di posti bellissimi come Palazzo Renzo, la Cattedrale e una villa fuori città. 

 

Da cosa nasce la scelta del bianco e nero?

La scelta del bianco e nero è nata un mese prima delle riprese. Ho pensato che la storia narrata è fantascientifica e ambientata in un futuro, ma i meccanismi rappresentati sono quelli di una politica del passato. C’era quindi questo cortocircuito tra futuro e passato: in un futuro prossimo i meccanismi della politica saranno sempre gli stessi. Nel corto ho messo a colori solamente l’inizio, in cui sono raffigurate le interviste ai passanti, persone che esprimono la loro sincera opinione, così come nel finale. Queste due fasi sono rappresentate a colori in quanto indicano la realtà, mentre tutto il resto è il grigio della politica dove niente è sincero. 

 

A livello creativo, qual è il tuo processo di scrittura? Parti da una tematica e sviluppi il racconto intorno ad essa, oppure hai delle immagini in mente da cui dispieghi il racconto?

A volte mi vengono delle idee, e cerco di partire da quelle. A volte è una scena, altre un personaggio e da questi elementi cerco di costruire qualcosa gradualmente. All’inizio scrivevo completamente da autodidatta ed ero molto meno strutturato rispetto ad ora. Per esempio, una volta avevo scritto il progetto di un film partendo dalla sceneggiatura, invece col passare del tempo ho cercato di muovermi più gradualmente: partire da un’idea, continuare con il soggetto e procedere col trattamento. Nel 2016 ho seguito a Padova il master in Sceneggiatura “Carlo Mazzacurati”, dove i docenti erano appunto co-sceneggiatori dello scrittore. Ho avuto un confronto diretto con dei professionisti, che a volte stroncano le tue idee ma che allo stesso tempo riescono a far maturare il tuo processo creativo. 

 

Oltre ai già citati Spielberg e Lucas, ci sono altri registi con cui sei cresciuto e che credi abbiano influenzato la tua autorialità cinematografica?

Ho sempre apprezzato autori diversi, quindi col tempo le mie preferenze sono oscillate. Probabilmente Zemeckis è uno che mi ha formato molto tra Ritorno al Futuro e Forrest Gump. Anche il cinema di Lynch ha ispirato i miei primi lavori sperimentali, che adesso non realizzerei. Un altro autore contemporaneo a cui sono legato è Paul Thomas Anderson, e in generale sono molto improntato sul cinema americano, anche se ora sto cercando di allargare i miei orizzonti cinematografici. 

 

Quali progetti hai in corso, o futuri?

Come detto in precedenza, al momento sto cercando di sviluppare un lungometraggio basato su un mio corto, visto che in questi ultimi anni c’è la tendenza a produrre lungometraggi partendo da idee di corto, anche perché è più facile sviluppare i personaggi e far percepire ai produttori l’idea del progetto, riuscendo quindi a invogliare di più le persone. Oltre a questo, ho tre sceneggiature finite e due soggetti, quindi cinque progetti di lungometraggio pronti.