Tra le società e l’arte del singolo esiste un legame indissolubile, un doppio filo che sorregge entrambi gli estremi. Che si tratti di cogliere le idee che proliferano e si muovono attorno all’artista, o che questi vada contro di esse, non c’è dubbio che l’uno non può esistere senza gli altri. E se il cinema è arte, le sue produzioni sono soggette inevitabilmente alle stesse regole.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una accelerazione nella rivoluzione dei generi cinematografici, caratterizzata da contaminazioni stilistiche e culturali, influenzata dall’uso che altri settori fanno dell’immagine e del suono, dagli algoritmi che lavorano con le parole come se fossero numeri. Il genere puro è ormai scomparso, per lasciare spazio a nuove forme complesse che meglio rappresentano le nostre società. Uno fra tutti è lo straordinario mutamento compiuto nel genere horror. Gli stravolgimenti dei canoni classici e delle regole che i registi e autori internazionali hanno apportato a questo genere sono da considerarsi tra i più virtuosi e creativi del decennio scorso. Non pensiamo più a quei film in cui attori con orrende maschere fatte di chewing gum ti corrono incontro attraverso lo schermo fin dentro i sogni, il New Horror o Post Horror, va ben oltre il mostruoso, non ha bisogno di mostrare, dare volto e corpo alle paure per renderle più reali. Abbracciando filoni differenti della tradizione, le nuove opere cinematografiche della paura si allontanano sempre più dallo splatter preferendo una ricerca stilistica intima ma che parli alla collettività.

Nella lunga tradizione letteraria e cinematografica dell’orrore, i mondi narrativi, definiti come a parte del nostro, hanno regole ben precise e una loro logica universale, la quale, paradossalmente, li rende dei luoghi sicuri. La conoscenza di queste regole dona allo spettatore un incredibile vantaggio sulla paura stessa, permettendogli di prevederla e aggirarla. Ma se il mondo narrato coincide con quello di chi guarda e le paure da affrontare sono umane ed esperibili al di fuori della sala, il gioco cambia. Il New Horror si fonde con altri generi puri quali la commedia, il fantasy, lo sci-fi, il dramma, creando nuove narrazioni colme di significati profondi. I nuovi generi dell’orrore spesso si rivelano essere metafore del male terreno e umano, che si servono di antichi archetipi e leggende per far arrivare al pubblico contemporaneo il loro messaggio di denuncia sociale. Altre volte, gli schemi tradizionali servono come salvagente interpretativo delle personali paure del regista. Altre ancora, si rivelano essere delle semplici illusioni scenografiche che celano ben altro. Tra i titoli di Sayonara non mancano esempi eccellenti di questa nuova corrente cinematografica. Prendendo come riferimento alcuni tra gli stili di maggior successo nel panorama internazionale, vi suggeriamo tre titoli dal nostro catalogo.

Scenario, del collettivo To Guys (Alessandro De Leo e Alex Avella), ci trasporta in un universo narrativo distopico ed estraniante. Questo cortometraggio che oscilla tra l’horror psicologico e lo sci-fi, è stato presentato nel 2018 al Trieste Science+Fiction Festival e da allora ha ricevuto moltissimi riconoscimenti internazionali. Lo spettatore che guarda Scenario si ritrova ad esperire degli stessi sentimenti e sensazioni dei protagonisti, i quali sono intrappolati in un loop temporale senza fine né inizio, agonizzanti nel desiderio di azione, che puntualmente, una volta compiuta, li riporta indietro allo stesso punto nel bosco in cui continueranno ad incontrarsi per sempre. Angoscia e spaesamento sono gli elementi chiave della narrazione, costruita per dare a chi guarda la stessa illusione interpretativa di cui sono vittima i protagonisti. To Guys utilizzano con estrema maestria i tempi della struttura per creare un ritmo sinusoidale capace di trasmettere tensione e attesa. La stasi angosciante viene interrotta dalla decisione dei protagonisti di fuggire da quel luogo, smettere di nascondersi ad occhi e orecchi onniscienti, ma non c’è via d’uscita, non esiste libero arbitrio, neppure nella morte. Questo il grande interrogativo che ci viene posto, fino a che punto siamo liberi di decidere?

Delitto naturale di Valentina Bertuzzi è un cortometraggio che si appropria dei linguaggi del cinema dell’orrore e del thriller in maniera assolutamente fresca e creativa, svelando solo nel finale la sua natura di commedia. Nello specifico parliamo di commedia di formazione, un teen movie, che attraverso gli occhi di una ragazzina ci permette di vedere il mistero e il soprannaturale laddove i nostri vedrebbero solo un’ombra. Quando la sua compagna di classe si assenta misteriosamente dall’aula e nessuno degli adulti vuole darle una spiegazione, Aida decide di indagare su quello che è convinta sia un rapimento ad opera di personaggi demoniaci. Tutto si gioca sul punto di vista, le ombre, le gocce di sangue, una porta che non è permesso attraversare. La regia crea un puzzle dai dettagli agghiaccianti, che una volta composto strappa un sorriso nel pubblico. Come in ogni classico di formazione, assistiamo al passaggio dall’ingenuità fanciullesca alla consapevolezza del mondo degli adulti, il cui ingresso chiede come pegno l’abbandono della fantasia.

La Bête di Filippo Meneghetti rappresenta il filone folkloristico dell’horror. È l’esempio in qualche modo più vicino alla tradizione, ma solo nella scelta del tema che prende forma dal corpo mitologico e religioso bretone. Un buco misterioso, al di là di un fiume che separa i territori di un villaggio di pastori dai boschi selvaggi governati dal male. Una bestia attira il nipote di un vecchio pastore quasi cieco oltre il fiume inguadabile e lo fa precipitare giù negli abissi oscuri della terra. Gli abitanti del villaggio dovranno compiere una scelta di coraggio per salvare il bambino e andare contro tutti i segni premonitori manifestatisi alle loro donne, ma per contrastare il maligno le ombre della notte devono dissiparsi. L’innovazione in questo caso sta nella scelta del regista di non far mai vedere l’orrore. La paura si propaga nel villaggio fino ad arrivare ai nostri schermi attraverso l’oscurità. Esattamente come il vecchio, noi siamo ciechi di fronte all’ignoto e questo, forse, è ciò che dovrebbe renderci più coraggiosi.
Denise Nigro