Frida, l’ultimo cortometraggio di Aleksandra Odić premiato a Cannes 2021 con la “Queer Palm” per i cortometraggi LGBT+ e con il premio “Lights On Women” per registe emergenti, è un tiepido dipinto di ciò che Lord Alfred Douglas in un poema per Oscar Wilde definì l’amore che non osa pronunciare il suo nome, che costò allo scrittore nel 1895 una condanna per il reato di sodomia e due anni di reclusione.

L’opera incarna esteticamente questa definizione costituendosi di sguardi silenziosi e lunghe attese, il tutto immerso in spazi asettici dove la luce, riflettendosi sulle superfici chiare, si moltiplica inondando le stanze. Il cortometraggio ritaglia infatti degli spaccati di quotidianità in ospedale, raccontando una relazione di “servizio” che di primo acchito potrebbe sfuggire all’attenzione, e ce ne mostra invece tutte le profondità celate di uno spettro emotivo che va dalla sofferenza all’amore. Il rapporto tra la paziente Frida e la sua infermiera è premuroso, di minuziosa cura, e traspare in ogni parte dai piccoli gesti e dai convenevoli della routine ospedaliera – sempre cautamente però, traspare anche una tensione sommessa di desiderio reciproco. Questo desiderio si manifesta quasi oniricamente secondo la tenue speranza di poter stare insieme, nella vera luce, al di fuori del contesto di sofferente attesa della malattia, e metaforicamente al di fuori di un contesto pregiudicante nei confronti della loro relazione sentimentale.

L’infermiera e la paziente incanalano nella sospensione dell’apnea l’esperienza della sopportazione quotidiana, preparandosi entrambe a una sfida orientata alla sopravvivenza e al poter vivere finalmente una giornata semplice andando a nuotare insieme, con la speranza di poter poi prendere fiato dall’asfissiante situazione di malattia fisica e metaforica della loro società. Risulta così un’opera di sforzo e contesa, dove il tepore dell’affetto, della fiducia nell’avvenire e della speranza in un bacio d’addio non negato aleggia timidamente nei luoghi inclementi dell’attesa e del dolore.

Chiara Bardella