Siamo entrati nell’era dell’omologazione, siamo tutti copia dell’altro. L’originalità è terminata, come per ogni altra risorsa, eravamo stati avvertiti. 

Questo il mondo alternativo di The End of Originality di Laura Zayan, giovane regista norvegese-egiziana, che vuole interrogarsi sulla difficoltà di essere veramente creativi oggi. Il cortometraggio nasce da un’idea della Zayan stessa e vede coinvolto un gruppo di altri giovani filmmaker emergenti dell’European Film College, dove la regista ha studiato tra il 2018 e il 2019, anno della realizzazione del film. Vincitore del premio Sayonara Film a Ce L’ho Corto nell’edizione del 2021 e di altri riconoscimenti in festival europei, tra i quali l’Amandus Blikkfang e il Riff Festival Norway, sempre nel 2021, il corto è tornato sugli schermi dell’International Filmfestival Emden-Norderney e del Festival de Cinèma de Loches lo scorso week-end. 

Spulciando nella soffitta della nonna in cerca di abiti vintage, Frances trova un’audiocassetta su cui è registrata un’intervista a un certo professor Coleman, un intellettuale che ha elaborato un’interessante teoria sulla fine dell’originalità. L’uomo ha calcolato il momento esatto in cui verrà a mancare questa risorsa nel mondo: il 3 settembre 2021. Frances scopre di avere soltanto 48 ore di tempo per trovare la più autentica versione di sé, prima che l’inesorabile conto alla rovescia che appare sullo schermo arrivi a zero. 

In un clima surreale in cui si alternano location urbane, ambienti sterili dalle tinte pastello e interni che ricordano le selfie room, i personaggi si muovono all’unisono, armonici come in un famoso videoclip di Cyndi Lauper, ma senza divertimento. La protagonista veste panni diversi nell’affanno di trovare i propri, ma ogni scelta si rivela essere tutt’altro che autentica. Ogni sua mossa è solo una replica in una serie infinita di azioni sempre più simili tra loro. Le persone intorno a lei indossano gli stessi abiti, si comportano e muovono nello stesso modo, e anche lei finirà per essere una parte indistinta di quel tutto. Gli schermi di decine di persone appaiono sul nostro come su una grande home page orizzontale e il mosaico che compongono è fatto di tessere intercambiabili, quasi identiche. Persino i singoli stati d’animo diventano un unico sentimento, racchiusi in una caption la cui proprietà intellettuale è di tutti e di nessuno. 

La volontà di indagare il bisogno di espressione e creatività della società contemporanea, in cui la vista è il senso principe, emerge chiaramente nella scelta stilistica che guarda al fashion film, ma anche alla storia del video musicale e all’universo dei social media. L’uso di linguaggi propri del mondo del fashion, della pubblicità e dell’intrattenimento risulta una scelta mirata a catturare l’occhio dello spettatore, grazie a scene costruite con estrema attenzione al dettaglio e armonia tra le forme, tinte e movimenti, ma mostrando il vuoto e lo spaesamento sotto di esse. L’intera storia è narrata attraverso un montaggio attento che lega immagini e musica seguendo il ritmo crescente della corsa contro il tempo. Quasi assente la parola, fatta eccezione per le voci fuori campo del professor Coleman e dell’host radiofonico, che sottolineano gli step della trasformazione sociale in atto. Utilizzando un frame negativo per raccontare la ricerca estetica, The End of Originality pare porre la domanda “ti ri-vedi?”. Uno specchio in cui guardare con ironia e un leggero senso di angoscia trasmesso dagli sguardi di rimando dei personaggi. Anche l’arte è punto d’interesse della ricerca dei creatori, forse il loro punto di partenza, e senza l’originalità questa non può che tramutarsi in mero mezzo di ricerca di un nuovo che non esiste, un eufemismo.

“And then what? People are supposed to just give up?”

Denise Nigro