Il sorriso e la forza di una madre che non si arrende. 

Le strade di Siviglia sono il luogo nel quale si svolge il secondo cortometraggio della serie 13.11:El hijo de Fatima, diretto da Carlotta Piccinini.

El hijo de Fatima, 1 (Small)

Coraggio, forza, determinazione e amore incondizionato sono le tematiche di questo film che segue la vita di una donna arrivata dal Marocco per cercare suo figlio. Nessuno vuole dirle dove si trovi, ma lei è testarda e coraggiosa. Proprio in quei giorni la Francia subisce uno degli attentati più spaventosi e cruenti degli ultimi anni. È il 13 novembre 2015 e Fatima si trova, straniera, in un’Europa che diventa sempre più ostile e sospettosa nei confronti di immigrati e rifugiati. Percorriamo con Fatima le strade di una città a lei sconosciuta e la osserviamo, da lontano, nella sua estenuante ricerca. Spiamo i suoi gesti, le sue attese e la sua quotidianità. E poi, finalmente, Fatima incontra il figlio. E un sorriso, semplice e pieno d’amore, chiude il film.

Fatima (Small)

Non vedremo mai il figlio, lo sentiremo solo nominare, lo immagineremo. Rimane una figura misteriosa, ma è come se lo avessimo sempre visto sullo schermo. La macchina da presa si concentra sulle emozioni di Fatima. Guarda sempre e costantemente lei, la sua solitudine, la sua ostinazione e la sua melanconia. E lo fa attraverso i suoi sguardi, la sua voce e i suoi movimenti in una casa semivuota, dove è completamente sola. Lo spazio diventa un detonatore della sua sensibilità interiore.

Come ha raccontato la regista, Carlotta Piccinini, si è trattato di un progetto interculturale. Gli attori sono non professionisti, veri immigrati che vivono a Siviglia, alcuni di loro come rifugiati politici e richiedenti asilo per discriminazioni di genere e di orientamento sessuale nel loro Paese di origine. Il film è girato interamente in arabo, con una troupe spagnola e una troupe italiana, e con attori che parlavano sia arabo che francese.

“Mi sono trovata a dirigere il set in quattro lingue diverse. È stato difficile ma molto formativo e stimolante”, ha raccontato la regista.

Uno sguardo femminile su una storia che verte su una figura forte come quella di Fatima, emblema di quel coraggio che solo le donne sanno avere. Come ha confessato la regista, infatti:

“All’inizio, nella sceneggiatura, c’era il padre di Omar che abbiamo dovuto eliminare dalla storia perché nessun uomo marocchino ha voluto recitare in un film dove si affrontavano temi legati alla sessualità e al terrorismo. Questo per dire come le protagoniste femminili si sono dimostrare aperte, il loro è stato un atto di coraggio. Parliamo di donne musulmane ed emancipate ma sempre provenienti da una cultura molto rigida nei confronti della donna. Il loro recitare in questo film è stato uno sbalzo di emancipazione importantissimo.”

Abbiamo rivolto, infine, alcune domande alla regista, sul suo rapporto con le attrici e sul ruolo delle registe donne nel panorama cinematografico contemporaneo.

La sceneggiatura di El hijo de Fatima è firmata da Mario Piredda, regista e collega. Com’è stato lavorare ad un film scritto da un altra persona? In che modo ti sei rapportata alla sua scrittura?

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Mario oltre ad essere un carissimo collega è anche un carissimo amico. Condividiamo una sensibilità simile su alcune tematiche. Non per niente quando mandò la bozza di questa storia me ne innamorai subito. Il passaggio dalla scrittura alla macchina da presa è sempre un momento creativo e il regista diventa autore della storia nel raccontare emozioni e sensazioni. E anche gli attori diventano autori nella scrittura e riscrittura della sceneggiatura.

In questo caso, infatti, hanno contribuito a cambiare alcune battute e a rendere più verosimile la storia anche per favorire la loro recitazione. Io ho portato delle piccole modifiche alla sceneggiatura, come nel finale, che apre uno spiraglio di speranza riguardo all’amore di questa madre che va al di là di qualsiasi ostacolo di natura umana, sociale, culturale, economica. Il sorriso della madre, alla fine del cortometraggio, non era previsto ed è stata una mia idea, idea che poi Mario ha approvato con me.

 

Pensi che il fatto di essere una regista donna abbia avuto la sua importanza nel raccontare la storia di Fatima? Quanto è contato, insomma, il tuo sguardo femminile?

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È stato importante essere una donna per raccontare questa storia. Un uomo l’avrebbe raccontata ugualmente bene ma diversamente. Ho lavorato molto con gli attori prima delle riprese e Nadia, che interpreta Fatima, nelle nostre lunghe chiacchierate mi ha raccontato di aver vissuto una situazione simile, nella mancanza costante della figlia emigrata dal Marocco alla Spagna. Ogni volta che la lasciava per lei era uno strappo al cuore. Questo livello di empatia e intimità si crea solo tra donne. Non è un discorso femminista, il mio, ma realista perché uomini e donne hanno sensibilità diverse, e soprattutto dal punto di vista culturale alcune donne preferiscono aprirsi e parlare di alcuni argomenti solo con altre donne. Nadia ha una sensibilità particolare rispetto a questa storia e ho cercato di proteggerla sul set. Non essendo un attrice professionista, e non essendo abituata a lavorare sul set, aveva bisogno di un sostegno anche psicologico. Una figura femminile, complice e rassicurante, ha messo Nadia e l’altra attrice a loro agio. Nella scena finale dello sguardo, quando il figlio apre la porta, in realtà lei guardava me. Abbiamo sviluppato un rapporto così intenso e familiare di rispetto e comprensione, che quello sguardo d’amore era rivolto a me. Questo, come regista, è stato uno dei momenti più importanti di questa esperienza.

 

Quest’anno, agli Oscar, l’unica regista donna candidata è Greta Gerwig. Qual è il tuo punto di vista sull’industria cinematografica e il ruolo delle registe?

 

Il tema è controverso. Posso affermare che c’è un problema di genere all’interno dell’industria cinematografica, che non è dato solo da una chiusura verso la regia al femminile, ma c’è anche una timidezza e una insicurezza della autrici donne a farsi avanti come autrici e come registe.

Il cambiamento che deve avvenire dovrebbe vedere da una parte un’apertura verso le scelte autoriali femminili e le registe dovrebbero, a loro volta, diventare più coraggiose, provando e continuando a credere nel cambiamento per fare breccia in un contesto molto maschile.

 

Anche per El Hijo de Fatima i Festival sono tanti. Dall’anteprima mondiale al Festival Européen du Film Court de Brest fino alla presentazione in Italia, alla Cineteca di BolognaCorto Dorico, Festival de Cine Italiano de Madrid, il Festival Internacional de cine y derechos humanos de Valencia, Carballo InterplayPoverarte Movievalley Bazzacinema, sono sono alcune delle tappe che Fatima e la sua ricerca del figlio stanno compiendo in Europa.

Una ricerca che appassionerà e coinvolgerà sempre più spettatori. Perchè, alla fine, Fatima rimane uno di quei personaggi forti nella loro debolezza, che è difficile dimenticare.

Fabio Astone