L’incontro tra due mondi (all’apparenza) diversi: What God Wants

Quarta tappa di 13.11 è Amburgo. In una città illuminata a giorno assistiamo allo scontro tra due persone che cercano, in fondo, la stessa cosa: il calore umano e la vicinanza fraterna.

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What God Wants di Michele Innocente racconta, infatti, un incontro tra due mondi all’apparenza diversi, ma simili.

È sera e Salah cammina per la città. Quella notte ci sono stati gli attentati che hanno sconvolto la Francia e non solo. È il 13 novembre 2015 e Amburgo continua a vivere mentre, poco distante, a Parigi, c’è l’inferno. Colori, luci e musica. La vita notturna trascorre come sempre, tra locali, strip club, ristoranti. Salah, nel suo peregrinare, incontra un senzatetto. La lite che nasce fra i due sarà l’occasione, però, per far avvicinare due mondi che sembrano lontani tra loro ma mai, come in quest’epoca, così vicini.

È una guerra tra poveri, quella che scorre davanti ai nostri occhi. L’ostilità di chi non ha più nulla contro quello che viene visto come un invasore, un nemico.

Il cibo diviene, quindi, l’elemento che unisce, la connessione tra due mondi, quello del senza tetto e quello di Salah. Il mondo di chi vive per strada e il mondo di chi rappresenta una minaccia, agli occhi dell’occidente. Il cibo, abbiamo detto. Salah che mangia un kebab, Salah che offre dei soldi al senzatetto affinché ne possa comprare uno, e il pranzo sul porto che vede suggellare l’incontro tra i due. Cibo che, però, oltre ad essere un punto d’incontro diventa spesso qualcosa che divide e che crea disparità e conflitti.

795 milioni di persone vivono, infatti, in condizioni di malnutrizione. I dati del World Food Programme dell’Onu del 2017 parlano chiaro e sono cifre che spaventano. Il cibo, qualcosa che dovrebbe essere un diritto di tutti, diventa un miraggio, un sogno, da elemento basilare per la vita si trasforma in numeri e statistiche.

Spesso il cinema ha raccontato di lunghe tavolate, pranzi e cene infiniti, pasti poveri e umili. Viene in mente Charlot che, ne La febbre dell’oro, cuoce le stringhe degli scarponi come se fossero spaghetti al dente. È la speranza di chi non si arrende davanti alle avversità. Fa proprio questo Salah, insieme a i suoi amici. Dà conforto ai più poveri e lo fa, non solo attraverso il cibo, ma anche attraverso il suo sorriso che illumina lo schermo.

Abbiamo rivolto alcune domande al regista per scoprire, più da vicino, come si è mosso dalla scrittura alla messa in scena e come ha lavorato con l’attore protagonista.

– Raccontaci come hai conosciuto l’attore protagonista, Sidar Sönmez, e l’attore che interpreta il senzatetto, Locke.

Eravamo ad Amburgo per cercare location e attori e, passando per caso in una strada, abbiamo visto questo ragazzo che stava suonando la chitarra. Lo abbiamo fermato e gli abbiamo chiesto se voleva recitare per questo cortometraggio. E’ stato subito entusiasta di partecipare al progetto. L’attore che interpreta il senzatetto, invece, ci è stato presentato dalla responsabile di una associazione che fornisce il cibo e dà cure mediche a chi ne ha bisogno, dai senzatetto ai rifugiati. Locke è, in realtà, un signore che lavora per l’associazione e che ha fatto davvero vita di strada per 15 anni. Chi meglio di lui poteva interpretare quel ruolo? È un personaggio fantastico. È stato anche fotografato in un libro che mostra i senzatetto di Amburgo.

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Come ti è venuta l’idea per la storia di Salah? C’è stata qualche differenza tra la scrittura e la messa in scena della storia?

La storia mi è venuta in mente perché ho pensato che uno degli attentatori dei fatti del 13 novembre, a Parigi, si chiamava Salah ed è stato ricercato per mezza Europa. Ha fatto perdere le sue tracce e dopo alcune settimane lo hanno trovato. Perché non scrivere una storia di un ragazzo che si chiama come lui e ha una vita normale, è un “invisibile” in una città frenetica e grossa come Amburgo? Ho voluto giocare con questa contrapposizione: tra il personaggio di What God Wants e il terrorista. Un Salah che era sulle bocca di tutti i media, e un Salah che fa del bene, che cerca di aiutare le persone che sono in difficoltà.

Per quanto riguarda le differenze tra scrittura e messa in scena della storia è stato molto importante il rapporto instaurato con gli attori. Sidar mi ha dato un grande aiuto, soprattutto con il tedesco. Lui è nato e cresciuto in Germania da genitori curdi e, assieme a lui, ho riscritto i dialoghi in tedesco affinché fossero i più reali e veri possibile. Un’altra cosa interessante è che Sidar e Sulaika Lindemann, l’attrice del cortometraggio, non sono madrelingua arabi e per inscenare il dialogo tra loro ci siamo fatti aiutare da un amico di Sidar, siriano, che ha tradotto dal tedesco all’arabo e fatto ad entrambi da acting coach.

Quanto è stata importante la città, Amburgo in questo caso, per raccontare questa storia? Che città ti sei trovato davanti, soprattutto alla luce dell’epoca che stiamo vivendo?

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Amburgo è una città straordinaria. Per un periodo della mia vita ho vissuto a Brema, che si trova vicino ad Amburgo. È una città diversa dalle altre città tedesche perché si trova nel nord, con una impostazione quasi scandinava. È un posto di passaggio continuo, le persone sono disponibili, aperte, anche grazie al fatto di essere una città portuale. Per questo mi è sembrato bello raccontate la storia di due ragazzi che vivono ad Amburgo e totalmente in sintonia con la mentalità e la predisposizione di questa città nell’essere accogliente. Mi sono trovato una città aperta e nonostante la Germania abbia subito attacchi terroristici, Amburgo mantiene la sua identità di città libera e città aperta. È una città orgogliosa della sua identità e non ha intenzione di perderla. Ha tutte le caratteristiche di una città tollerante libera e con l’intenzione di non farsi schiacciare dalla paura. Sa che è un periodo difficile ma non accetta che questo prenda piede. È, inoltre, una città multietnica. La troupe, in parte italiana, era composta da un operatore di origini americane e asiatiche, da un fonico spagnolo, con un assistente palestinese, e un altro fonico, tedesco. Trucco e costumi erano curati da ragazze nate in Germania ma con origini di tutto il mondo. È stata davvero un’esperienza interessante

What God Wants ha avuto la sua proiezione ufficiale al Cinema Lumière, presso la cineteca di Bologna, passando per il Festival Européen du Film Court de Brest, in Francia, Corto Dorico, in Italia, e Festival de Cine Italiano de Madrid, in Spagna.

I prossimi Festival in calendario sono il Carballo Interplay, in Spagna, il Festival del Cinema Europeo – Puglia Show, e Poverarte – Festival di tutte le Arti.

Salah e la sua storia, la sua grinta e la sua purezza, non si fermano qua.

Fabio Astone