Avete mai pensato ai registi come a compositori di immagini? Ai film come a una serie di onde che modulano e cambiano ritmo? Probabilmente no, ma se parlaste con Giulio Mealli, sceneggiatore, regista e compositore di The Breakdown, cortometraggio di fiction uscito nel 2022, iniziereste a farlo. 

Immaginate di star camminando per strada, in un centro affollato. È sabato pomeriggio e, nonostante la pioggia, nessuno pare aver rinunciato ad uscire di casa. I clacson e gli sbuffi degli autobus in sosta si mescolano alla musica che esce dalle porte dei negozi, agli scrosci degli ombrelli che vengono agitati prima di chiuderli, a stralci di conversazioni in cui passate attraverso. Il paesaggio sonoro si mescola a quello visivo, gli conferisce una dimensione temporale e un ritmo. Lo stesso avviene nei film. Suoni e rumori d’ambiente, le voci dei personaggi con le loro battute, i silenzi, tutto concorre a creare l’immagine sonora di una storia. Secondo Giulio il film è già musica, e proprio partendo da questo assunto ha scelto di creare una colonna sonora per The Breakdown che non va ad  inserirsi sopra le scene, ma ne fa da cornice, in apertura e chiusura. Il resto è tutta presa diretta, realtà scenica.

Il cortometraggio, scritto insieme a John Malesevic, nasce qualche anno fa come assegnazione creativa alla scuola di cinema di Praga, un compito fuori classe, la cui realizzazione potrebbe essa stessa diventare spunto per un film. Una troupe di studenti alla ricerca di un’auto sgangherata da portare in un campo fuori città per girare un corto su una famiglia in panne. L’idea è semplice, descrive un brevissimo lasso di tempo, eppure trabocca di informazioni. I personaggi che vediamo in scena mostrano tutti i propri sottostrati e il loro background attraverso il dialogo, o meglio, il litigio. 

Bloccati in mezzo al nulla con la macchina in panne, Bethany e suo marito Robert, si azzuffano come bambini capricciosi su quelli che intuiamo essere i soliti argomenti di discussione. Robert vuole sbarazzarsi del figliastro John portandolo a lavorare in una fattoria, dove finalmente potrà apprendere delle abilità pratiche e alzare la testa dai suoi sciocchi libri. Bethany, incapace di prendere una posizione, si nasconde dietro Dio e il fato, responsabili delle loro sventure. Un lungo piano sequenza che lascia il figlio sullo sfondo, unico personaggio equilibrato della storia, ma ignorato totalmente dagli altri due che discutono come se questo non fosse presente. Robert e la moglie rimangono egocentrati sulle proprie frustrazioni, sui loro problemi di coppia, anche quando John, riparata l’auto, li invita a salire. Ed è qui che capiamo quanto in realtà il suo personaggio non sia affatto passivo. John decide di ripartire senza di loro, lasciando i due bloccati in mezzo al nulla, nel limbo delle loro sterili discussioni, fermi in un rapporto immaturo e disfunzionale.

Il litigio della coppia diventa il fulcro di tutto. Da questo, infatti, Giulio estrapolerà in fase di montaggio le note che andranno a comporre la colonna sonora. Un’operazione di sonorizzazione delle emozioni dei personaggi, che funge da descrizione di quel che non vediamo. «Non basta sentire un’emozione, ma bisogna tradurla in narrazione per farla arrivare agli altri», e la narrazione è possibile crearla attraverso il linguaggio musicale così come attraverso le immagini. L’importanza di queste due dimensioni, quella sonora e quella visiva, è ben chiara a Giulio fin dalla sua adolescenza, ma solo con The Breakdown è arrivata a compiersi in una pratica creativa che definisce il suo stile e la sua idea di cinema. «Prima mi succedeva di scrivere o immaginare una scena con la musica, ora tendo a scindere. Immagino una scena e poi arriva la musica».

Tutta la colonna sonora ruota intorno a poche note, due accordi minori che si muovono in maniera discendente, creando l’illusione di qualcosa che scivola lentamente. Ad un primo ascolto, mentre il titolo compare sullo sfondo nero, pensereste di star per assistere alla proiezione di un vecchio film noir, ma, quando la musica ritorna alla fine del corto, accavallandosi appena ai fotogrammi di chiusura, il mood della storia e le note lavorano come un contrappunto. Tutta la tensione dei cambi discendenti si rivela essere espressione di un’ironia amara e sgangherata, quella che il regista, con i suoi personaggi, vuole trasmettere a chi guarda e ascolta. 

Il risultato è un film che vira verso il racconto di formazione, ma in cui coloro che devono arrivare all’età adulta sono i genitori. «Sono ossessionato dalla famiglia» dice Giulio, «è la cosa che conosco meglio». Dopo The Breakdown, infatti, il regista vuole tornare sugli schermi con altri episodi di vita famigliare che vedano come protagonisti gli stessi personaggi. La famiglia, intesa come il prototipo di qualunque società, risulta un modo efficace di tradurre in narrazione quelle emozioni inscrivibili, attraverso situazioni e dinamiche, spesso anche grottesche, che chiunque secondo il regista è in grado di cogliere.

Quando ci si trova per strada, così come ai margini di un campo nella nebbia, c’è chi sceglie di cogliere il soundscape circostante e chi preferisce mettere le cuffie e trovare la colonna sonora giusta a dare il proprio senso a ciò che vede. Giulio fa parte della prima categoria, proprio per questo, forse, possiamo definirlo un compositore di film, perché gioca con i suoni che sono già presenti nella realtà della scena. Ed è proprio il gioco l’essenza del suo cinema, che lui stesso spera “rimanga sempre un po’ infantile”, proprio come in quel racconto di La Capria, La lezione del Canarino, quando il bambino capisce che per rendere un’emozione bisogna sapere come narrarla. Questo l’obiettivo di Giulio, raccontare delle storie che lascino ad ognuno qualcosa di personale, uno strato di significato che vada oltre la narrazione stessa, ciò che non si può far vedere, ma forse si riesce a sentire.

Denise Nigro