In occasione della selezione di Faccia di cuscino alla 75° edizione del Locarno Film Festival (3-13 Agosto) abbiamo intervistato il regista pugliese Saverio Cappiello, classe 1992, che ci ha raccontato di questa sua ultima opera e della sua formazione cinematografica. Il cortometraggio esordirà al prestigioso Festival svizzero come unica opera italiana in concorso nella Sezione Internazionale “Pardi di domani”, che accoglie opere di autori e autrici emergenti da tutto il mondo. Il corto è stato prodotto da Intervallo Film, in collaborazione con il Bari International Gender Festival e con il patrocinio dell’Apulia Film Commission.

Raccontaci brevemente del tuo percorso formativo cinematografico e delle tue esperienze nel campo.

Mi sono diplomato come montatore alla Civica di Milano. È stata l’esperienza più completa di studio che ho fatto in ambito cinematografico. Sapevo già che non sarei diventato un montatore ma mi interessava studiare il linguaggio e il montaggio di costruzione. La parte di formazione più decisiva però è avvenuta attraverso le residenze artistiche. In particolare la prima, Finestre Buie, con il tutoring di Martina Di Tommaso e Leonardo Di Costanzo che mi hanno riportato a tre chilometri di distanza da Bitonto, casa mia. Con loro ho gettato le premesse per il corto Mia sorella. Va da sé che una parte importante della formazione è stato anche viaggiare per i vari festival di cinema e guardare tanti film.

Come è nato il progetto Faccia di cuscino, e da quale desiderio?

Faccia di cuscino è la coda di un percorso lungo un anno e mezzo che ha voluto rimettere al centro la periferia barese. Il lavoro è stato concentrato nel quartiere Libertà. Intervallo film e Big Factory hanno realizzato un percorso di formazione e dunque raccolto le storie di chi vive il quartiere. Io sono arrivato a quel punto là. Ho preso ispirazione e trovato terreno fertile per poi sviluppare una storia che mi passava sempre più frequentemente per la testa nei mesi in cui sono stato lontano dalla Puglia.

Come hai trovato e scelto i protagonisti del corto? Il lavoro di recitazione è stato guidato, oppure perlopiù spontaneo?

I ragazzini del corto sono stati scelti attraverso un casting un po’ particolare. Nella parrocchia del Redentore, pietra miliare del quartiere Libertà, abbiamo fermato di volta in volta dei ragazzini mentre giocavano la partitella del sabato pomeriggio e fatto loro delle domande, come se fossero delle interviste a bordo campo. Avevo una manciata di secondi per capire chi potesse essere quello giusto per la storia che avevo in mente perché mentre giocavano nessuno mi avrebbe concesso più di un minuto. Con i tre ragazzi scelti ho fatto un percorso di scrittura più che di recitazione. Ho provato a capire quali fossero i punti della sceneggiatura con i quali si sentivano meno a loro agio e li abbiamo riscritti. È stata una sorta di spontaneità guidata.

Faccia di cuscino viene dopo la realizzazione di altri lavori, in particolare penso a Mia sorella, che raccontano delle nuove generazioni pugliesi. Hai sempre avuto “nel cassetto” la volontà di creare un’opera come quest’ultima, incentrata sulla prima adolescenza? In cosa è simile, o diversa, nei tuoi intenti, da quelle precedenti?

Non è una storia che ho sempre avuto nel cassetto. Con il corto Mia sorella ho messo in scena una storia che riguardava una condizione vicina a me e ad altri coetanei in contesti di periferia. Col tempo pensavo di continuare ad essere interessato alla mia realtà generazionale ma invece è successo l’opposto. Credo che questo sia accaduto perché man mano perdevo fiducia nei confronti del presente che prima, invece, consideravo come tempo buono per lottare e cercare una rivalsa. In cambio mi sono rituffato nei ricordi dei riti della pre-adolescenza che hanno fortemente a che fare con me e la mia visione della provincia. Quando un’immagine mi torna in mente frequentemente penso significhi che ne debba fare i conti usando la lente d’ingrandimento che è il cinema.