La ricerca della felicità attraverso lo sguardo di una ragazza: Nina

Siamo arrivati, così, all’ultima tappa di 13.11.

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Non poteva essere che Bologna, infatti, la città che chiude questo viaggio in giro per l’Europa. Bologna, quindi, da dove il progetto è partito, si è sviluppato e ha iniziato il suo cammino, grazie ad Elenfant Film e Sayonara film.

In Nina di Mario Piredda, regista sardo vincitore del David di Donatello 2017 per il miglior cortometraggio, la Bologna che ci appare è fredda e invernale, lontana dal centro caotico e dalle due Torri. Una macchina e una famiglia, un viaggio on the road alla ricerca di un posto dove trascorrere la notte. Quella notte, il 13 novembre 2015, in cui sono avvenuti gli attenti di Parigi.

Il regista, per raccontare la storia di quattro persone legate dall’amore, sceglie di usare lo sguardo di una ragazza, adolescente, ed è proprio con Nina che la storia si apre e si chiude. Nina, in mezzo alla campagna, e attorno a lei il nulla. E alla fine sempre Nina, che guarda questa volta la macchina da presa e, dietro di lei, la città. La speranza di una vita diversa, la possibilità di vedere realizzati i propri sogni, una casa, un lavoro per i suoi genitori, un’esistenza serena per lei e suo fratello.

Storie di solitudini e di disagio, storie comuni, all’ordine del giorno. Nina racconta questo, la ricerca di una quotidianità, di una normalità, la voglia di vivere le piccole cose della vita che spesso, in questa società, sono negate.

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Abbiamo rivolto al regista alcune domande sugli attori, sulla storia, sulla voglia e l’esigenza di raccontare questo spaccato di vita.

 

  • Come hai trovato gli attori? E quanto c’è, di vero e di vissuto, nella storia e nei personaggi che interpretano?

 

Gli attori sono stati trovati da Olga Torrico, l’aiuto regia. Non ho dovuto fare provini a troppi candidati, mi sono convinto subito. La madre era esattamente come la immaginavo, mentre il bambino somigliava fisicamente a me da piccolo. Gregorio invece non corrispondeva al personaggio che è nato nella mia testa mentre scrivevo la sceneggiatura, aveva dei tratti somatici più italiani che dell’est Europa, sono contento di aver cancellato quell’immagine e di aver scelto lui, oltre ad essersi rivelato perfetto per quel ruolo è un vero professionista. Sia lui che Marina vengono dal mondo dello spettacolo quindi sono stati d’aiuto: oltre le classiche difficoltà sorgeva l’ostacolo della lingua moldava, a me sconosciuta, per cui il loro intervento in scrittura è stato fondamentale soprattutto nella nuova costruzione dei dialoghi. E poi Nina, non ho avuto nessun dubbio, da subito mi è parsa la persona adatta. Sul set non sembrava di lavorare con un’attrice alla prima esperienza. Basta puntarle una telecamera per capire che stai facendo del cinema. Si è appassionata molto, spero continui perché ha davvero del talento. Quando hai la fortuna di trovare un cast del genere, hai già portato a casa metà del film.

Per quanto riguarda la storia, invece, si tratta di pura finzione. È una domanda che mi fanno spesso, spero per la loro credibilità.

 

– Nina è lo sguardo con il quale osserviamo la sua famiglia e il mondo che la circonda. Come hai lavorato con l’attrice che la interpreta?

 

In generale lavoro pochissimo con gli attori, cerco di evitare che possano immedesimarsi troppo nel personaggio, che possano darmi quello che non sono. Cerco la spontaneità, infilargli troppe cose in testa può essere controproducente. Preferisco rubare la loro anima, il loro vissuto, i loro gesti. Non voglio l’interpretazione del personaggio che ho in mente che lascio volentieri morire in sceneggiatura.

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– In A casa mia, il tuo precedente lavoro che ha vinto il David Di Donatello 2017 per il miglior cortometraggio, vedevamo una donna, ormai anziana, e il suo attaccamento alla casa, alle sue radici, alla sua quotidianità. In “Nina” c’è la ricerca di tutto questo, di diritti basilari che dovrebbero essere concessi a tutti. Da cosa è scaturita l’idea per questo cortometraggio? Raccontare una storia come questa è stata, per te, un’urgenza?

 

Di solito le idee arrivano dal nulla, spesso sono tante e la cosa più difficile è individuare quelle giuste e annotarle da qualche parte. Quelle che non scrivo subito scappano via. Visualizzo un’immagine, un dialogo, un luogo, un volto e poi compongo alcune scene. Il soggetto arriva in un secondo momento. Niente di più sbagliato se si segue la filiera della scrittura cinematografica ma questo è il mio metodo e nel linguaggio del cortometraggio funziona. Su una storia lunga invece è rischioso.

 

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Sono tantissimi i Festival ai quali Nina ha partecipato. Dall’esordio al “Cinema Lumière, Cineteca di Bologna” passando per il Festival Européen du Film Court de Brest  2017 in Francia fino a Corto Dorico 2017. È  stata poi la volta del Festival de Cine Italiano de Madrid in Spagna e del VideoLab Film Festival, dove Nina ha vinto come miglior cortometraggio. Carballo Interplay, in Spagna e Poverarte – Festival di tutte le Arti, sono solo gli ultimi festival ai quali il film ha partecipato.

 

Altre città e altri festival attendono Nina. Il suo sguardo, rivolto verso un futuro migliore, continueranno ad emozionare.

 

Fabio Astone